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OTTOPALINDROMO
I pontili sul mare si dice che siano
otto: di questi almeno si è sicuri. Esternamente e da lontano sono solo un
insieme di ferro rosicchiato dalla salsedine; sono scheletri di ruggine e
pendono lì, con le gambe a mollo nell'acqua.
IL NUMERO TRE
Si ha sempre un po’ di timore di ciò
che non si vede. Per questo nascono i mostri: proprio perché si alimentano
della paura che noi stessi creiamo. Allora si iniziano ad immaginare cose.
Tuttavia, la linea è molto sottile, a volte, tra reale e surreale. Spesso
questa linea viene valicata.
Il buio, come la nebbia, fa
presagire che qualcosa vi si stia nascondendo, che questi due fenomeni siano
solo un pretesto per mascherare qualcosa, o per mimetizzarlo e creare un
surreale gioco di illusione.
A volte capita, passeggiando in riva
al mare, di incontrare dei punti in cui c’è una maggiore concentrazione di
foschia, oppure inaspettatamente si crea un banco di nebbia.
Nessuno ci fa mai caso, ma nascosto
in mezzo alla coltre si può intravvedere una bassa ringhiera: è il pontile
numero tre.
Si trova perennemente avvolto da una
spessa nebulosa, e per chi va di fretta è difficile accorgersi della sua
presenza: la passerella ne viene completamente inghiottita.
Se si va sulla passeggiata dove si
ipotizza - secondo alcune voci - che ci sia il numero tre, ci si imbatte quasi
con assoluta certezza in un vecchio signore dall’aria grigia, con un cane dal
muso imbianchito dalla vecchiaia, che racconta una strana storia plumbea, a chi
la vuole ascoltare. Attenzione ai vecchi che si propongono come cantastorie:
quello che vanno dicendo spesso è ciò che è successo.
Così, intabarrato da sciarpa e
cappello scoloriti, davanti ad una tazza di caffè acquoso e insapore, il
vecchio improvvisato cantastorie prese a narrare ciò che i suoi occhi (non)
avevano visto.
Un giorno
plumbeo come un altro, in un orario indefinito che poteva essere benissimo
mattina presto, ma anche sera, in una stagione di mezzo in cui tutto tende al
grigio, in quel tempo ambiguo e in quel luogo senza tempo, due persone
egualmente vestite da cappotti informi, dal tono tendente all’antracite – o
forse blu scuro? o addirittura nero?- scavalcarono in una sequenza identica di
movimenti, il cancello del pontile numero tre.
In quello stesso momento, lui, un
ignaro vecchio passante canuto, uscito per portare a spasso il cane, notò
questa scena. Li vide scomparire piano nella fitta nebbia; si accese una
sigaretta e aspettò che qualcosa accadesse per tutta la sua durata. Infine fece
l’ultimo tiro: il fumo uscì dalla bocca, si mischiò al resto del grigiore
attorno. Nulla era accaduto in quella sigaretta di tempo; quindi sbuffò e
riprese la sua passeggiata.
Sulla via del ritorno, più sul
tardi, per chissà quale motivo, si fermò nello stesso identico punto in cui si
era fermato prima, senza sapere bene come avesse fatto a riconoscere il luogo.
Si accese un’altra sigaretta, liberò il cane e si sedette sulla sabbia greige,
e aspettò. La nebbia stava lentamente dissolvendosi, eppure tutto rimaneva indistinto.
Proprio mentre gli parve di scorgere due sfocate sagome scure, la cortina si
affievolì sempre più rapidamente. Le indistinte silhouette avanzavano, la
nebbia svaniva. Erano lì; il vecchio diede un tiro alla sigaretta; un rivolo di
fumo gli arrivò all’occhio, che lo fece lacrimare. Svanì il fumo, si asciugò la
lacrima. La nebbia si era dissolta completamente, e con essa il pontile numero
tre. Sulla sabbia, nessun altro passeggiava: le uniche orme erano quelle del
cane.
Ottopalindromo è un racconto di Eleonora Cabiddu
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