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TEMPESTA A LARGO DI PORTONOVO
AGOSTO 2299
Era una notte di mezza estate: calda, rilucente di
stelle, con la superficie del mare completamente ferma come uno specchio.
Salvatore era all’interno della barca chiamata
Anna, profondamente addormentato.
Il suo grande amico Guglielmo, macchina non
appartenente alla specie umana, skipper e compagno assoluto di vita, faceva la
veglia al sonno di colui dal quale era nato.
La
navicella, che era stata concepita per navigare nei mari della Terra e
viaggiare tra i pianeti orbitanti attorno al Sole, stava veleggiando verso l’Isola
con rotta 335°.
Era stata ancorata, prima che arrivasse la sera, in
mare aperto a una distanza dalla costa tale da rendere ben visibili i
particolari della baia.
Il comandante aveva dato disposizioni di voler trascorrere la
notte nella posizione raggiunta. L’insenatura l’aveva frequentata a lungo, fin
dalla prima giovinezza. E desiderava nuotare nuovamente, con il primo sole
dell’indomani, in quelle acque familiari.
La
città del Palazzo incrociava il tragitto dell’imbarcazione a poche miglia di
distanza.
Nel
porto della Città del mare essa era desiderata e aveva un pontile d’attracco
privilegiato.
Quel
mattino, invece, il capitano si era alzato tardi. Non aveva fretta di partire
per raggiungere la meta, situata molto
più a nord, poiché il mezzo di cui disponeva era in grado di coprire la
distanza con varie modalità in tempo utile.
Anche
nell’Isola la barca Anna aveva un ormeggio riservato.
Prima di sera, Salvatore si sarebbe incontrato lì
con Danilo. Erano mesi che non si vedevano. Si parlavano, però, continuamente,
materializzando le rispettive immagini tridimensionali ovunque fossero.
Nel
mare prospiciente la baia, già dalle prime ore del mattino, con un cielo terso
di nuvole e un sole radioso, una leggerissima brezza aveva iniziato a originare
delle lievi ma regolari increspature sull’acqua che acquistava sempre più un
colore di smeraldo.
Consumò
una piccola colazione in coperta, servita da due dei cyborg che erano stati costruiti per occuparsi delle sue esigenze materiali, mentre il grande amico aveva disposto la
diffusione in sottofondo di uno dei suoi concerti preferiti.
Richiese,
poi, di essere collegato con alcuni opinionisti di varie parti del mondo per
ricevere commenti sugli accadimenti politici del giorno. Subito si
materializzarono di fronte le repliche delle entità corporee delle persone,
mentre esponevano concetti. Salvatore vi si concentrò per una mezzora.
Si
erano appena dissolte le immagini, quando la voce di Guglielmo annunciò con
tono risoluto:
«Mio
capitano è previsto che, a cominciare dalla quattordici e ventisette, una massa
di aria proveniente a forte velocità da nord-est si scontrerà sulla nostra
posizione con la stazionante in repentino calo di pressione.
Il
vento arriverà a trenta nodi e ci saranno raffiche oltre i trentacinque, con
punte di quaranta.»
Intanto,
sullo specchio d’acqua si era formato un vento leggero di scirocco da sette
nodi: creava onde basse e frequenti che il sole, in controluce, rendeva abbaglianti.
Sembrò
non avere ascoltato; e si tuffò in acqua per una lunga nuotata.
S’immerse,
poi, nella lettura di un vecchio libro cartaceo del ventesimo secolo che
descriveva fatti di storia di quel tempo, accovacciato ai piedi dell’albero,
come faceva di solito.
Ogni
tanto alzava gli occhi e fissava il mare e il cielo davanti a sé. A volte lo
sguardo si dirigeva verso la costa, cercando di individuare e riconoscere
luoghi e cose.
Così,
il cervello si scostava dai fatti raccontati nel testo, e volava lontano verso
gli spazi immensi dell’universo.
Alle
tredici circa, interruppe l’esame del volume; si rifocillò mangiando frutta e
alcune fette di pane tostato spalmato di crema di formaggio; non si era mosso
dalla posizione che aveva assunto; e riprese a leggere con molta attenzione.
Leggere
libri cartacei era un’altra sua predilezione; non voleva rinunciare agli
strumenti che erano stati alla base della sua formazione culturale ed esistenziale.
Da
molto tempo, oramai, leggere un libro significava entrare in una realtà
virtuale tridimensionale che si materializzava in varie forme e in molteplici
località, secondo le esigenze più disparate. Spesso, costituiva l’inizio di un
viaggio che poteva portare l’utilizzatore lontano dal punto di partenza, in una
specie di navigazione cosmologica nel sapere, guidata dall’autore dell’opera.
Per
Salvatore, invece, non c’era ancora nessuna rivoluzione tecnologica che potesse
sostituire le emozioni derivanti dalla diretta lettura di un ottimo libro,
stampato su qualsiasi supporto, in grado di riprodurre validamente il suo
contenuto.
Erano
emozioni che facevano la pari con gli entusiasmi che gli derivavano dallo stare
al timone di Anna, e condurla per mare svincolata dagli automatismi di cui era
dotata, sotto il costante controllo dell’apparato cerebrale di Guglielmo.
Il libro, che assorbiva il suo interesse, era
proprio il carburante adatto per far girare a mille i suoi neuroni in quel
momento.
Dopo circa mezzora la macchina pensante ordinò di togliere gli ormeggi e
riprendere la navigazione senza che egli, immerso nella lettura, se ne fosse
accorto.
Il vento di sud-est si era stabilizzato a dieci
nodi. La barca avanzava con una tranquilla andatura di poppa, con le vele perfettamente orientate per quel vento, senza che il
lettore del libro vi prestasse la minima attenzione.
«Mio maestro, … il vento sta per cambiare direzione
e rinforzare, ... occorrerà ammainare
lo spinnaker e dare due mani di terzaroli!»
La voce calda di Guglielmo fece emergere Salvatore
dalle sue fantasticherie mentre era ancora accovacciato alla consueta maniera,
ai piedi dell’albero dell’enorme sloop, con il libro tra le mani.
«Mio
grande amico, … cosa sta accadendo? ... Ah, sì, tra poco arriverà la buriana!»
«Abbiamo
ancora pochi minuti per ridurre la
velatura!»
«Bene, siamo più che in tempo; … mi do cura io; …
tu bada al timone!»
Si alzò così dicendo dalla posizione di lettura,
chiudendo il volume.
«Mio
maestro, permettimi di non essere d’accordo: a prua la battagliola è interrotta
e il ponte è scivoloso!»
«Mio
grande amico, non essere noioso; … sgancio
solamente la scotta sopravvento, … poi provvedo per la randa!»
«Mio
maestro, non potrà essere sufficiente: sta per entrare una vera rivoltura; permettimi di insistere;
lascia che sia il nostro equipaggio a
compiere le manovre!»
«Oggi sei particolarmente insistente nelle tue
raccomandazioni! … Ricordati che sono il comandante! … Ti sei preoccupato,
piuttosto, di misurare i parametri di forza del vento, il punto di resistenza
delle vele, dell’albero, delle sartie, della deriva? Li hai poi rapportati con
la forza del mare?»
«È
stato tutto calcolato e predisposto; tu devi soltanto goderti lo spettacolo del
cielo che diventa nero sul mare blu!»
«E
va bene, … pensaci tu! … Il cambio dei colori provocato dalla burrasca è un avvenimento troppo bello per non godermelo in santa pace; …
me ne starò seduto a poppa mentre tu farai lavorare la ciurmaglia!»
Si
accomodò, con movimenti scherzosi di sfida, su di un sedile imbottito con
schienale posto nell’ampia veranda di poppa.
Così
facendo rivolse lo sguardo in alto; si produssero due schiocchi metallici
susseguenti; per alcuni secondi sovrastarono il sibilo crescente del
vento. La sequela delle operazioni
automatiche per ridurre la superficie esposta al vento era iniziata: era uno
spettacolo abituale; ma in quei frangenti acquistava un fascino nuovo.
La
manovra interessò per prima la vela da
poppa. Era simile alla pellicola di una grossa mela, di colore rosso, tagliata
a metà, con la parte superiore più larga della inferiore, di un materiale
rigido e rilucente come il vetro. Contemporaneamente all’avvento del primo
rumore secco, scomparve alla vista, come se fosse stato spento un fascio luminoso.
La barca rallentò immediatamente la corsa.
La
medesima sorte ebbe l’infinita randa.
Era simile all’ala di un enorme aliante posta in verticale, di materiale
rigido, appena trasparente come di vetro satinato, di colore tenue tra il verde
e l’azzurro. Simultaneamente al
secondo forte scatto, scomparve alla vista, come se fosse stato spento un altro
fascio luminoso.
L’andatura del natante divenne ancora più lenta.
Dopo qualche secondo, si udì un suono sibilato,
prolungato; e si materializzarono un ridotto fiocco di prua e una nuova randa, di dimensioni molto piccole rispetto alla
notevole lunghezza dell’albero.
Entrambe le vele sembravano essere fatte dello
stesso materiale; ed esibivano lo stesso colore dell’originaria vela maestra.
Immediatamente dopo, anche l’albero dello yacht si
accorciò, fino alla penna
della nuova randa.
L’intera
successione di manovre avvenne in poco tempo senza alcun manifesto intervento umano. Né poteva essere
diversamente poiché Salvatore era l’unica entità, appartenente alla specie homo, che esisteva su quel
mezzo di navigazione. Proprio per scelta costruttiva, non era prevista,
primariamente, l’esecuzione di nessuna manovra manuale, salvo che non fosse la
conseguenza di una precisa richiesta.
Chi, esperto d’arte marinaresca, avesse potuto
ascoltare senza essere visto lo scambio di considerazioni che stava avvenendo
sull’imbarcazione che procedeva nel mare sfruttando la forza generata dal
vento, e avesse potuto, poi, assistere alle successive procedure avvenute per
il cambio della velatura, sarebbe rimasto sconcertato. Sarebbe stato come
assistere alla riproduzione di due spezzoni di film girati in un intervallo di
almeno duecentocinquanta anni.
Nel tempo, in cui il ventitreesimo secolo stava per
cedere il posto al successivo, la terminologia usata, gli interventi proposti
per le situazioni che si stavano verificando non erano più immaginabili.
Quanto concerneva la navigazione a vela era stato
oggetto di profonda evoluzione, in conseguenza delle nuove tecnologie
costruttive, dei nuovi materiali impiegati, dei nuovi sistemi di navigazione,
dei mezzi di propulsione complementari.
Il linguaggio e il vocabolario della speciale arte
erano ancora gli stessi consolidatisi dal quindicesimo secolo. Buona parte,
però, aveva solamente un valore di documentazione storica, poiché privi di
qualsiasi uso applicativo.
In
nessun ambiente, in qualunque modo interessato all’attuale utilizzo di
quell’antichissima maniera di andar per mare, sia con finalità di diporto sia
con finalità agonistiche, avrebbero potuto avverarsi situazioni come quelle
raffigurate dal colloquio intercorso tra il rappresentante della specie umana Salvatore, comandante
dell’eccezionale barca, e la macchina intelligente Guglielmo.
Erano espressioni briose, brillanti e fantasiose,
usate intenzionalmente da due vecchi amici fusi con il mare, secondo un preciso
stile di vita, e che si appellavano con definizioni che, nello stesso tempo,
erano sì di scherzo ma, soprattutto, rivelavano sentimenti di reciproca
protezione. Volutamente erano usati termini marinareschi obsoleti che, per
loro, erano ancora correnti.
Il
modo di fare era originato da un’antica abitudine di Salvatore oramai
affermatasi e accolta da Guglielmo.
La
macchina possedeva la coscienza che l’uomo,
dal quale era stata creata, la eguagliava in tutto e per tutto a un essere umano e, in quel frangente,
la considerava un indispensabile skipper.
L’uomo possedeva la coscienza che quell’essere, da
lui assimilato a un umano,
costituiva un inseparabile compagno, e che solamente con lui gli era possibile
vivere il mare secondo scelte personali.
L’imbarcazione avanzava sempre nella stessa
direzione, con entrambe le vele lascate e con le mure a dritta.
Mancavano
meno di quindici minuti all’ora annunciata da Guglielmo per l’inizio della
tempesta.
Il
vento cessò completamente.
Le
corte onde, che si erano formate con il leggero vento di scirocco, sparirono; e
la superficie dell’acqua riacquistò l’aspetto che aveva avuto la notte
precedente.
Anna
si fermò completamente. Con un leggero dondolio laterale dell’albero e delle
vele, che erano state completamente serrate al centro dello scafo.
Il
tratto di mare, ove si trovava, era ancora illuminato da un sole cocente.
Lontano,
in direzione nord, invece, nuvole gigantesche di un colore blu intenso, quasi
nero, si erano fuse con il mare annullando la linea dell’orizzonte.
L’ammasso
di nembi era tormentato da lampi ripetuti, che facevano cangiare il colore in
un grigio surreale, seguiti da tuoni che la lontananza trasformava in schianti
ovattati. Il cielo e il mare, cosi
trasformati, sembravano muoversi velocemente verso la prua di Anna immobile
sull’acqua.
La
dimensione di quella situazione, man mano che si avvicinava, aumentava la sua
consistenza e avviluppava ogni cosa eliminandola dalla vista.
All’ora
prevista dalla macchina parlante, la tempesta arrivò sulla barca.
Il
sole sparì all'improvviso. La luce cambiò repentinamente, come se stesse per
sopraggiungere la notte. Un vento istantaneo, uniforme, vasto, violento, da nord,
investì tutto l’intorno, insieme a lampi, e fulmini, e schianti di tuoni
assordanti. I denti di una gigantesca sega, seguiti da milioni di altrettanti
esemplari, sembravano avanzare sulla superficie dell’acqua rimasta fino all’ora
immobile.
La
barca ebbe un sussulto; fischi e sibili inondavano quanto fosse sopracoperta;
fece un balzo brusco in avanti; poi cominciò a filare di bolina stretta, con le vele orientate mure a sinistra,
inclinata di trenta gradi. Intorno, i denti di sega si erano trasformati in
vistose increspature appuntite che si proiettavano verso l’alto e facevano
ribollire la superficie dell’acqua.
Ora
Anna affrontava il mare con onde che crescevano sempre più in altezza. Spruzzi
di schiuma bianca erano scaraventati nell’aria in direzione del vento. La prua della barca fendeva il mare che
aveva cambiato il colore da verde smeraldo in blu notte, mentre la poppa
generava una lunga scia turbolenta.
La
temperatura era scesa di molti gradi. La schiuma,
generata dalle onde, era nebulizzata in una bruma invernale, sottile e
pungente.
La navicella era completamente immersa negli
elementi della natura scatenati.
A
sud, oltre la poppa, il chiarore ancora persistente del cielo e il colore verde
delle acque si allontanavano sempre più velocemente, e sembrava che stessero
per essere inghiottiti.
«Rotta
tre cinque!» tuonò la voce di Guglielmo, prevalendo sull’urlo del vento
e sugli schiaffi delle onde sullo scafo.
«Distanza
dall’isola trentacinque miglia, distanza dal nostro punto d’ormeggio della
Città del mare sette miglia! Converrà approdare qui!» aggiunse Guglielmo
con lo stesso forte tono di voce.
«Non
ci pensare nemmeno! Danilo starà per arrivare. Dobbiamo approdare in tempo per
poterlo accogliere!» rispose risoluto Salvatore.
Guglielmo
tacque.
Intanto, l’imbarcazione aveva modificato le mure posizionandole a dritta, e procedeva sempre con andatura di
bolina, rotta tre due cinque, ad oltre
venti nodi. Nonostante la sua possanza, lo scafo s’impennava a tratti sulla
cresta di onde anomale, per poi ricadere nel cavo con violenza e turbinio di
schiuma proiettata ai lati. Getti di acqua, ancora calda per la forte
insolazione diurna ricevuta, erano deviati dalla loro traiettoria e
scaraventati con violenza da una parte all'altra del ponte.
Salvatore era rimasto tranquillamente al suo posto
nell’ampia veranda di poppa.
Qualche
minuto prima dell’arrivo della tempesta, due cyborg gli avevano portato la cerata personale, e lo avevano aiutato ad indossarla. Era una vistosa tuta stagna di colore rosso: un esemplare unico, ordinato e costruito appositamente, in due
pezzi, con pantaloni tenuti su da bretelle e giacca con cappuccio e visiera.
Diceva che doveva ricordare le cerate in uso ai balenieri del
diciannovesimo secolo; diceva, anche, che doveva essere in grado di
trasmettergli la sensazione della pioggia battente e degli spruzzi gelati delle
onde sul corpo durante le tempeste; diceva che una tempesta non può definirsi
tale, se non si sente il sapore del sale sulle labbra mentre è in svolgimento.
La macchina pensante
diceva, invece, che sarebbe stato molto più sicuro sostare nel pozzetto
centrale, magari isolato da un campo di forza di sopravvivenza, come si usava
tra gli skipper d’alto mare.
Dal
punto di vista dell’uomo, la
tempesta aveva reso il cielo un meraviglioso affresco di nuvole che facevano un
tutt’uno con il mare, presentando combinazioni di colore cangianti dal blu
notte al grigio scuro con macchie più chiare. I lampi, che rischiaravano per
pochi attimi l’oscurità sopraggiunta, conferivano all’aria un aspetto spettrale
ma anche di forza da rispettare e ammirare. Il rombo assordante dei tuoni era
il giusto accompagnamento sonoro ad un’eccezionale scenografia.
«E’
una tempesta eccitante!»
«Sarei
molto più tranquillo se tu fossi sottocoperta!»
«Io
sarei ancora più tranquillo se tu la smettessi di rovinarmi l’eccezionale
spettacolo con le tue preoccupazioni!»
«Guarda
che fantastica rappresentazione di colori, di sfumature, di suoni,
d’espressioni di forza che ci stanno offrendo il mare, il cielo e il vento!»
«La
vedo e la ammiro anch’io; di sotto, ciò nondimeno, è possibile apprezzarlo
ugualmente, in sicurezza, attraverso le ampie vetrate.»
«Ma vai via! Dietro le vetrate, come faccio a
sentire i fiotti d’acqua sul corpo, e il sapore del sale in bocca? Dimmelo? Su,
spiegamelo?»
«E’
uno spettacolo per noi abituale, cui abbiamo assistito in tutti gli oceani.»
«Sì,
ma adesso è qui, e non ci voglio rinunciare.»
Il
colloquio andò avanti per minuti, con simili battibecchi.
Erano discorsi fuori del tempo. Duecentocinquanta
anni prima l’uomo e la macchina, nello stesso frangente, avrebbero ripetuto gli
stessi concetti, gli stessi umori, le stesse parole.
Dopo
poco avvistarono l’ingresso del porto della Città del mare.
«Mio maestro, permettimi di entrare, e portare Anna
al nostro ormeggio! Danilo capirà! Domani lo raggiungeremo nelle prime ore dopo
che avrai trascorso una notte di riposo!»
«Ma
cosa vai farfugliando? Io sto benissimo; sono tranquillo, fresco e riposato; e
poi mi sto divertendo da matti! Vira; e andiamo a casa di corsa!»
Guglielmo ubbidì senza ribattere altro.
Anna era stata progettata e costruita per
superare prove estreme e difficili.
Non
era, infatti, solamente una barca.
Era
una piccola città, autonoma e autosufficiente, alimentata da una fonte
d’energia senza limiti.
Più
appropriatamente, si sarebbe potuta definire un’isola esistenziale, per
realizzare la vita navigando nei mari della Terra e viaggiando tra i pianeti
ospitali del Sistema Solare.
I
materiali, con i quali era stata costruita, derivavano da combinazioni di atomi
ottenute con temperature elevatissime e tecnologie specifiche. Nello stato,
tuttavia, era solamente uno sloop di oltre 400 piedi dalle linee d’acqua
imponenti e armoniose.
I
generatori di energia operavano nel multiverso, ove è possibile, nelle
interazioni di tutte le particelle, trascendere le leggi della conservazione
del numero di protoni e neutroni e del numero di elettroni e neutrini.
Attuavano un processo di conversione della materia in energia, prescindendo
dalle fissioni o dalle fusioni nucleari. I protoni e gli elettroni, che
compongono gli atomi d’idrogeno, si combinavano per produrre energia pura sotto
forma di fotoni e di coppie neutrini-antineutrini. Qualsiasi materia presa in
considerazione, anche semplici rifiuti, poteva essere convertita in energia
destinata, poi, ad alimentare potentissimi motori a razzo con fasci orientati
di coppie neutrini-antineutrini e gas di scarico invisibili.
Il
sistema permetteva un’autonomia illimitata, nonostante gli enormi consumi
spesi.
La
navicella non recava manovre correnti. Un albero altissimo, sorretto da sartie
e stralli di considerevole diametro, e un boma a sezione rettangolare, erano le
uniche manovre fisse. Era infine dotata di una deriva, stretta e sottile,
basculante in senso trasversale e longitudinale terminante con un bulbo.
Le
vele erano definite tali solo per convenzione, poiché erano sostituite da campi
di forza modificabili nella forma e in estensione secondo le condizioni
naturali.
In
alternativa alla navigazione con il vento, l’imbarcazione poteva utilizzare un
potente motore elettrico, alimentato dal trasformatore centrale che, attraverso
una serie di eliche, consentiva di raggiungere velocità marine elevate.
Anna
viaggiava, infine, nell’atmosfera del pianeta e nello spazio.
Il suo sistema di razzi e l’elevata disponibilità
di energia le consentivano di estraniarsi dall’acqua, e librarsi nell’aere.
Per il fine, ogni attrezzatura dell’opera viva e
dell’opera morta si annichiliva. Tutto lo scafo e il ponte divenivano superfici
perfettamente lineari. Ogni originaria via di fuga era sostituita da zone
trasparenti in continuità. Gli ambienti interni erano isolati dall’esterno.
La
barca astronave era la massima espressione delle applicazioni tecnologiche,
delle conquiste scientifiche dell’Uomo, e consentiva ai suoi abitanti una
permanenza nel massimo dell’agiatezza e del confort. Era dotata di ogni possibile
arredo, corredo, strumento, attrezzatura, accessorio, finalizzati a una vita a
bordo, che poteva essere di lavoro o studio o semplicemente di riposo mentale;
e che si sarebbe potuto prolungare anche per anni in presenza di un campo
gravitazionale artificiale.
All’interno
coesistevano ambienti per ogni esigenza: sale e saloni splendidamente arredati,
e trasformabili a comando per molti usi. Aree trasparenti dello scafo,
modificabili su specifico ordine, consentivano la visione dell’ambiente marino
e dello spazio in ogni condizione. Camere stagne permettevano il trasferimento
di persone, opportunamente equipaggiate, direttamente negli ambienti esterni
acquatici o spaziali.
Erano
molti anni che Salvatore non andava più a casa.
Nella
sua casa.
Dalle
pareti di vetro robusto.
Nascosta
in quella parte di macchia mediterranea che liberava soltanto la vista del suo
mare verde.
Molto
più in basso.
Quella
casa che la sua Anna aveva
dapprincipio tanto contestato, e che poi non aveva più potuto vedere.
Con
la barca astronave aveva trovato l’appagamento della sua personale condizione
di vita.
Tempesta a largo di Portonovo, agosto 2299
è un racconto di Guido Fariello
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